Single Blog Title

Unaccompanied: Bambini nella Memoria di Karlos Pérez

Inaugurazione Martedì 10 Ottobre alle ore 18:00 in Piazza Nogara 2.

Karlos Pérez (Cuba 1990) ci presenta una serie pittorica intensa e toccante, dotata di una grande tensione morale, che indaga in profondità una pagina oscura e in gran parte rimossa della storia recente di Cuba: i bambini spediti negli Stati Uniti dai residenti abbienti e ritrovati (ormai cresciuti) solo anni dopo.

Si tratta di un lavoro che scava chirurgicamente nel punto di contatto tra ricordo e oblìo: l’infanzia perduta, la nazione cubana sospesa tra il prima e il dopo della rivoluzione, bambini ormai adulti che ritrovano se stessi e il proprio passato in un’infanzia sull’isola che assume contorni tra il fiabesco e il mitico, e al tempo stesso si presenta più vera del vero.

Il riconoscimento, l’estraneità, la distanza, la prossimità, il Sé e l’Altro, lo spazio-tempo dell’esistenza e la sua dislocazione: tutto si gioca sul filo del tempo – il tempo che scorre e che tutto sfrangia, dissolve, ma anche recupera e rivitalizza, attraversandolo; il tempo che – come la Storia – “lascia sottopassaggi, cripte, buche / e nascondigli” (Eugenio Montale).

Così, le immagini tratte da fotografie familiari vengono ‘spettralizzate’ dalla pittura, sottoposte a una revisione meticolosa, ossessiva, che conferisce loro un aspetto sospeso, enigmatico, metafisico. Momenti di svago e di vita familiare sono trasfigurati e trasferiti in una dimensione ulteriore, rarefatta, sempre sul punto di evaporare e scomparire (inseguendo l’“impersonalità” e la spersonalizzazione che danno il nome al titolo): eppure, proprio in questo consiste la dimensione universale dei lavori, capaci di connettersi a un livello profondo con spettatori di differenti latitudini e con esperienze individuali diversissimi. D’altra parte, molta arte significativa del XXI secolo sembra consistere in un solo apparentemente paradossale “essere-presenti-scomparendo”: nel combinare cioè una strana forma di presenza con una strana forma di assenza.

I dipinti di Pérez son allestiti seguendo un progetto curatoriale orientato a ricostruire all’interno dello spazio fisico l’idea di un album scomposto e scompaginato dalla tempesta degli eventi, ricomposto e riassemblato dal caso e dal caos della vita e della storia minima – così come l’esistenza quotidiana dei protagonisti anonimi e involontari di questa narrazione con figure.

Cristian Caliandro

Note del pittore:

Stando a R. Gubern, la fotografia può eseguire ed esaudire due grandi funzioni culturali: la memoria e la creazione. D’altra parte, questo è un fatto noto se si considera che la fotografia, come memoria, implica il tenere a mente le forme in cui si presenta a noi: con o senza un referente identificabile, con o senza un titolo, si tratta di una varietà di letture e interpretazioni nei termini della struttura in cui la si osserva o della persona che esegue l’interpretazione. Si dovrebbe anche tener conto del fatto che, quando si utilizza la fotografia, essa acquisisce nuovi propositi, in quanto l’interpretazione dipende dalla sfera culturale (formazione, conoscenza, ideologia, memoria ed esperienze di vita) dell’interprete, e il senso del rapporto che troverà personalmente.

Il concetto di “foto di famiglia” si dovrebbe riferire a una serie di immagini omogenee dal punto di vista delle occasioni e delle regole di composizione, raccolte in album e integrate al lascito della famiglia, che raccontano la sua storia.

Utilizzo fotografie che si riferiscono al passato e intendo adattarmici. Sono state scattate in modo da riflettere i ricordi dell’individuo, della famiglia e della casa. Un passato simile coesiste assieme al presente, e riesce a far rivivere frammenti di storia e rimembranze scomparse dalla memoria, nella quale il tempo inquadrato nell’immagine farà sempre parte di qualcosa di reale. Il discorso della memoria non è una strappalacrime nostalgia del passato o la malinconia legata a qualcosa che non c’è più, proprio come il lavoro può essere valutato dalla prospettiva di un ricordo idilliaco.

Non intendo esaltare il passato, ma al contrario evidenziare il fatto che prima o poi tutto farà parte del passato, ovvero guardare al futuro con la sobrietà ancestrale dell’inevitabile, assumere l’atteggiamento di una macchina fotografica, osservare il tempo che scorre, ma non come una successione di istanti isolati dal profondo ambiente della memoria della vita. L’intimo ritaglia un vero spazio per l’uomo; il futuro più intrepido può essere ricostruito a casa.

I fotografi e i ricordi possono dare vita a movimenti artistici anche anni dopo essere stati costituiti. Un’esperienza affascinante oltre il piacere di ricordare eventi passati o di ritrovare vecchie storie negli album di famiglia, è stata quella di accorgersi che ogni fotografia contiene più di una storia, che sono esponenzialmente più interessanti della storia principale stessa. Questo fatto mi ha fatto rivolgere l’attenzione verso i minimi dettagli e le possibilità che mi hanno offerto di raccontare una versione diversa rispetto a quella della foto originale. Vivo fra i miei potenziali lavori futuri, al punto che trovo nuovi motivi non troppo “distanti” da quelli della vita quotidiana. Da questi emergono scene di una certa stranezza, immagini che tutti noi possiamo a malapena processare (scene che avvengono in una maniera parallela e scorrono invisibili ai nostri occhi) e che balzano alla mente come risultato delle nostre azioni quotidiane quando chiudiamo i nostri occhi la notte.

Questi ricordi ricorrenti di immagini filtrate attraverso uno spesso substrato selettivo mi conferisce una certa sensibilità che mi porta a interagire con essi, eludendo le loro possibilità come segni. “Un segno è qualcosa che costringe a venire letto e rivelare un senso.”

Nella maggior parte dei casi uso fotografie naif scattate da amatori, il cui scopo è solo il puro piacere di riscoprire un istante nella memoria della famiglia dell’individuo, senza ornamenti o ambizioni estetiche. Così ho scoperto le possibilità “evocative” della sovraesposizione e della sfocatura. Il riferimento diretto a queste creazioni fotografiche mi ha fornito lo strumento della simulazione di imperfezioni tecniche nelle mie opere, ad esempio mantenendo il paesaggio e le figure in uno stato intermedio, tra l’apparizione e la scomparsa. Ho dato a queste immagini l’appellativo di “immagini votive”.

A cura di Isolo17 Gallery

 


Giovanni Monzon
Isolo17 Gallery
Via XX Settembre 31/b
37129 Verona
cel. 349 3746379
www.isolo17.gallery