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GIANLUCA BALOCCO – Naked Plants – Brevi note critiche

Domenica 11 ottobre ore 18:00
in via XX Settembre 35a, Verona.

Questa mostra non è un lavoro sulla bellezza, anche se quest’ultima è una piacevole conseguenza dell’esperienza estetica qui proposta. Semmai è da una reazione di stupore, direi quasi di meraviglia, che possiamo incominciare a fare senso di queste presenze vegetali nello spazio. Chiave di lettura è la presentazione di una forma di vita completamente fuori contesto. Sappiamo dagli scienziati cognitivi che quando un soggetto è coerente rispetto al contesto nel quale esso si trova (come ad esempio un piatto e un bicchiere su una tavola), la nostra mente non lavora, non nota, a volte non ricorda neppure. Questo perché, per motivi di sopravvivenza, siamo programmati a registrare il cambiamento, il diverso, il fuori contesto – con la sua carica sovversiva e potenzialmente pericolosa. In altre parole, ciò che rientra nei nostri script mentali, che si confà alle nostre aspettative percettive, non ha bisogno di attirare la nostra attenzione, per un meccanismo di economia volto a limitare il carico cognitivo del nostro lavoro celebrale.

Balocco, con un’operazione dall’eleganza minimalista ma di semplicità solo apparente, presenta queste piante come creature nude, che cioè offrono allo sguardo ciò che solitamente è fuori dalla sua portata: le radici, nel loro diramarsi assetato nel buio della terra, non viste né sentite dall’uomo che la calpesta inconsapevole. Se pensiamo a un “albero”, visualizzandolo nella mente, le parole alle quali lo associamo sono -forse- parco, foresta, bosco, ma anche vaso, marciapiede, periferia, lungofiume, terra, acqua, piantato, immobile. E così via in un gioco che non arriva ad includere il contesto che si incontra in mostra: sospeso, radici nude, inclinato, moltiplicato, illuminato, domestico, abitante, in movimento.

Le foto e l’installazione propongono l’esperienza straniante di un incontro inconsueto, che proprio per questo ci consente di ritrovarci stupiti, meravigliati, rapiti come non ci capitava da quando, infanti,assistevamo gioiosi al formarsi delle nostre categorie mentali. E, come allora, ci consente anche di poter vedere come per la prima volta: poterci muovere intorno alle cose per imparare punti di vista nuovi, da sotto in su, scambiare l’orizzontale per il verticale, sentire che il corpo degli altri (in questo caso, di una colonia intrecciata di piccoli gelsi) cresce secondo una geometria misteriosa e astratta, e funziona con sensi diversi, intorno all’asse centrale del sé, bilanciandosi in armonia con la forza di gravità che gli serve a trovare la sua verticale.

Con la complicità di una luce poetica, queste foto sono, classicamente, un ritratto del corpo in interni. E’ il genere più praticato, nella storia dell’arte, e proprio per questo il più difficile. Lo scarto nel quale librare i pensieri, oggi, è quello di sentire il non umano, vivo e vegetale, come appunto un corpo – altro da noi, ma un corpo che sente, respira, si nutre, cresce, muore, pensa e si muove, in un modo e in un tempo che dobbiamo imparare a condividere.
A cura di: Francesca Bacci
Artista : Gianluca Balocco