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Isolo17 è presente ad ArtVerona dal 16 al 19 Ottobre

Vi Invitiamo a visitare il padiglione 12 stand L12

Quest’anno la galleria si presenta con il progetto: “Teorema del maschile” con gli artisti:

– Zachari Logan
– Yiki
– Ramon Ramirez
– Andy Llanez
– Jorge Otero
– Karlos Perez
– Yunier Gomez

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Teorema del Maschile

Isolo17 / ArtVerona
Verona, 16 – 19 Ottobre 2015

“Per tutti questi secoli le donne hanno avuto la funzione di specchi, dal potere magico e delizioso di riflettere raddoppiata la figura dell’uomo. […] Perciò Napoleone e Mussolini insistono tanto enfaticamente sull’inferiorità delle donne, perché se esse non fossero inferiori cesserebbero di ingrandire loro. Questo serve in parte a spiegare la necessità che gli uomini spesso sentono delle donne. E serve a spiegare come li fa sentire inquieti la critica femminile; come a lei sia impossibile dir loro che il libro è brutto o il quadro difettoso, o cose del genere, senza provocare assai più dolore e suscitare assai più rabbia di quanta potrebbe suscitarne un uomo con la stessa critica. Perché se la donna comincia a dire la verità, la figura nello specchio rimpicciolisce; l’uomo diventa meno adatto alla vita.”

(Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé, 1929)

E se fosse il genere maschile ad aver bisogno oggi di pari opportunità? Una domanda che vuole provocare, certo, ma anche far riflettere. Come è cambiato il ruolo dell’uomo nella società contemporanea? Il confronto – non sempre pacifico – tra i due sessi avviato con la ribellione femminista degli anni Settanta ha avuto il grande merito di mettere in crisi la visione monolitica dell’uomo come unico detentore del potere, in casa e fuori. Uomini contro donne, uomini come donne. Le cronache parlano sempre più spesso di un maschio depresso e in crisi, incapace di reagire all’avanzata inarrestabile del girl power. Preoccupato per il numero crescente di suicidi tra gli uomini, nel 2008 il governo Norvegese vara delle iniziative concrete per la difesa delle “quote azzurre”. Ma il paese scandinavo resta un’eccezione. In questa battaglia in difesa dell’uguaglianza di genere, nella maggior parte dei casi si registrano episodi di violenza contro le donne commessi da uomini atterriti dalla perdita della loro storica supremazia. Gli ultimi colpi di coda di una società fallocentrica destinata a scomparire. Come scriveva Mario Mieli, non c’è «niente di più debole del maschio viriloide che sotto sotto teme l’impotenza e la castrazione, poiché in realtà è già, proprio in quanto maschio “assoluto”, un essere umano mutilato» (Elementi di Critica Omosessuale, 1977). E se questa perdita di “potere” avesse, in realtà, liberato l’uomo da un ruolo ormai anche per lui troppo stretto? Ora che lo specchio di cui parla Virginia Wolf si è davvero rimpicciolito, l’uomo non è più costretto nel suo personaggio di capo famiglia, ed è libero di essere ciò che davvero sente di essere. La libertà che spesso spaventa e a volte illumina. Macho, sexy, fragile, metrosexual, sottomesso, violento, checca, ossessivo, vanitoso, incapace di crescere, traditore, anaffettivo. I mille volti dell’uomo “libero” di oggi. L’evoluzione di genere è in atto.

In occasione di ArtVerona, Isolo17 presenta “Teorema del Maschile”,  il primo capitolo di un’ampia riflessione sul maschio contemporaneo e sulla sua nuova identità fluida, condotta attraverso l’arte e i suoi linguaggi.
A confronto sei artisti, sei giovani uomini che rappresentano se stessi e il loro modo di interagire con il mondo che cambia.

Yunier il Bad Boy.
Esclusione sociale, povertà, soprusi fisici e violenza verbale: l’uomo descritto da Yunier Gomez (Remedios, 1982) è il ragazzaccio cresciuto nei sobborghi de La Havana, intrappolato nella durezza di una vita ai margini, schiacciato tra il desiderio di riscatto e la frustrazione per l’impossibilità di sfuggire al proprio destino di emarginazione. Nei soggetti delle sue tele, storie che raccontano i maltrattamenti subiti e quelli causati. Una brutalità che si esprime nella violenza della sua pennellata, nella scelta di colori puri e dei contrasti netti, nell’essenzialità dei tratti, spessi e corposi, che tracciano immagini prive di ogni riferimento concreto. Torna alla mente la bad painting di Basquiat e Schnabel, così come le deformazioni dall’art brut di DuBuffet e le inquietudini di Fautrier. Le opere di Yunier Gomez sono vere tranche de vie, descritte e introdotte dai titoli che le accompagnano; l’autore ci racconta la vita di ogni giorno espressa attraverso le regole del ghetto. La Traidora (2009) deve essere punita. Il suo sacrificio è l’unico rimedio per l’offesa subita dal maschio/padrone. L’azione è colta nel vivo, sospesa nell’attimo in cui si sta per compiere la tragedia: l’uomo afferra la donna con un braccio ed è pronto ad accoltellarla. Sulla testa della donna, una corona, simbolo ricorrente nelle opere di Gomez, che sottolinea l’errore di essersi creduta superiore e non aver rispettato le leggi del ghetto. La marginalidad crea inevitabilmente nuovi legami e nuove socialità, con regole e comportamenti da rispettare. L’uomo resta un animale sociale: escluso dal branco primario, ne crea altri per poter sopravvivere.

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Zachari, novello Narciso.
Al centro delle attenzioni di Zachari Logan (Saskatoon, Canada, 1980) c’è costantemente il suo corpo. La sua immagine da cover boy è riprodotta in una moltitudine di situazioni, cariche di un forte e ricercato senso voyeuristico. Il corpo di Logan, ritratto nudo e in primo piano, è un mezzo per esplorare nuovi modelli e nuove possibilità espressive, simbolo di una rinnovata mascolinità consapevole della propria attrattività da contrapporre con ostentazione a quella classica dell’uomo sciatto e  trascurato, stereotipo di un’idea di maschio fossilizzata nel tempo e ormai in crisi. L’uomo moderno può essere debole, indifeso e vulnerabile oppure può essere oggetto di desiderio e portatore di sensualità senza scadere nel cliché dell’efebo e del femmineo, come accade in tanta pittura antica. L’uomo raccontato da Logan non rientra né nella tipologia estetica del macho né in quella queer, ma le supera entrambe. Compie quel passo in più negato a Narciso e si ricongiunge alla fonte della sua bellezza, a quella Natura che aveva beffato il mito greco, tradendolo e condannandolo a morte. E il suo corpo si ricopre di foglie, rami, insetti: una fusione con il mondo naturale in cui si coglie appieno il senso della vanitas mistica di Zachari Logan.
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Homo mensura omnia rerum.
Il proprio corpo non è solo un mezzo per autocelebrarsi, ma un modo per relazionarsi con il mondo esterno. Nelle architetture fantastiche immaginate da Ramon Ramirez Ruiz (Cuba, 1973) il corpo maschile, privato di ogni caratterizzazione sessuale evidente, diviene punto focale che collega in sé natura, architettura e urbanistica. L’uomo di Ramon Ramirez porta all’estreme conseguenze il concetto di animale simbolico teorizzato da Cassirer (1944), e si fonde con il senso logico da lui stesso creato nelle architetture e negli schemi urbanistici che ne ordinano la vita, generando una macchina perfetta, capace di superare crisi economiche e sociali. In lui si ritrova quel concetto di unione tra uomo, cosmo e città tipico della cultura greco-romana e di quella rinascimentale. Rispetto al centrismo fondante la polis greca, le strutture di Ramirez guardano in alto, crescono fino al cielo, cercano dinamismo e verticalità, strizzando l’occhio all’intuizioni futuriste di Sant’Elia.

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Jorge, il guerrigliero chic.
Quella proposta da Jorge Otero Escobar (La Habana, 1982) è l’immagine del macho per eccellenza, il guajiro cubano, reinterpretata dall’artista in una chiave glamour e patinata. Secondo una tradizione molto diffusa, il termine guajiro deriverebbe da una contrazione dell’americano war hero, espressione che i marines statunitensi attribuirono ai contadini locali, assoldati durante la guerra di indipendenza di Cuba contro la Spagna, nel 1895. Il loro apporto, infatti, si rivelò indispensabile per affrontare la jungla caraibica, superando l’evidente impreparazione dei nordamericani al territorio cubano. Va da sé che, entrati nell’immaginario collettivo, i guajiro abbiano ispirato gran parte degli artisti cubani, dai protagonisti della Vanguardia degli anni Trenta, fino agli artisti più recenti. Ma il contadino di Otero ha perso ogni riferimento alla terra e alla sua durezza. Il suo corpo, modellato da estenuanti sedute in palestra, è quello perfetto dei modelli delle riviste di moda. È  un prodotto da vendere e riprodurre, anche nelle sue singole parti. E come ogni prodotto ha il suo logo in vista: la tramatura dalle pelle che riprende il motivo dell’intreccio di paglia tipico del sombrero (insieme al machete e alla guayabera, la camicia bianca tradizionale contraddistinta dalle pieghettature verticali, simbolo del guajiro). Otero ci offre così un’estetica del macho reinterpretata in chiave queer. Un uomo-oggetto in cui si ritrovano la virilità del bad boy descritto da Gomez e il narcisismo di Logan. Ma in sé, l’uomo di Otero porta una riflessione più ampia, intrisa di malinconia. In questa società di massa, in fondo cosa resta delle antiche tradizioni, dell’orgoglio di un popolo, se non un brand da esportare come simbolo di un’autenticità ormai perduta?

ST 90x132 cm

Andy, il perfezionista.
Andy Llanes Bultó, (La Habana, 1983) rovescia la nostra prospettiva di visione. Da osservatori diventiamo d’improvviso osservati.  Due enormi volti ritratti in primissimo piano, che con la loro presenza quasi ci disturbano. La visione ravvicinata e ingigantita, unita all’iperrealismo della pittura crea un effetto fortemente straniante. Nella serie “Carne y Huesos” il suo uomo ci sta guardando e questo sguardo è per noi pesante e difficile da sostenere. L’osserviamo, e la nostra attenzione si sposta ai dettagli di quel volto. Ai suoi occhi, al naso, alle labbra carnose, alla sua pelle. Si crea con il soggetto un’imbarazzante intimità, un sentimento di attrazione e di condivisine. Ad un tratto, non è più importante sapere qual è l’idea che Andy Llanes ha dell’uomo nella nostra società. I suoi volti ci hanno confuso, irritato e hanno così catturato la nostra attenzione. Arriviamo a confonderci con essi. Siamo caduti nella trappola di Llanes: egli ha ribaltato abilmente la nostra visione e ci ha portato ad interrogarci su noi stessi.

2012 - Yordi - Oleo s Lienzo - 140 x 170 cm (2)

Karlos, l’uomo d’altri tempi.
Il termine “ametropia” indica un’anomalia di visione dovuta a un’errata rifrazione dell’immagine da parte dell’occhio. La vista si offusca o si potenzia, perdendo il giusto grado di messa a fuoco dell’immagine. La visione ne risulta rarefatta, indistinta. I particolari scompaio. Esattamente come accade nella nostra mente per i ricordi, offuscati dal tempo che passa. In questa opera (S\T 2015), Karlos Perez (Cuba, 1985) protagonista è un uomo, disteso in uno sfondo imprecisato. Chi è costui? Nessun dettaglio a darci notizie certe, eppure egli resta una presenza a noi quasi familiare. L’immagine di un ricordo lontano, perso in un tempo indefinito.
Karlos Perez è una delle giovani promesse della nuova pittura cubana. Formatosi studiando cinema e fotografia, si avvicina alla pittura, sperimentando tecniche e modalità di racconto originali. Quello che è per lui importante non è il soggetto riprodotto, ma l’effetto che questa immagine provoca in noi. Il nostro modo di percepirla. A differenza di Andy Llanes, Perez non ci turba con la sua pittura. Al contrario, ci conforta conducendoci in un passato indefinito ma rassicurante. La dolce malinconia di un ricordo che non ci appartiene seppur lo riconosciamo. In questo consiste l’effetto di straniamento della sua pittura. Un sentimento di empatia con il soggetto nonostante siamo consapevoli che non ci appartenga, uno straordinario cortocircuito tra immagine, osservatore e memoria personale di chi osserva.
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Leonardo Regano