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First Step 7 in Isolo17

Inaugurazione Sabato 10 Settembre alle ore 18:00 in via XX Settembre 31/b, Verona

Isolo17 Gallery, in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Verona, ha il piacere di invitarvi alla mostra-evento “First Step 7 in Isolo17”.

“First Step” è l’evento di arte contemporanea dedicato agli studenti dell’Accademia delle Belle Arti di Verona, che ormai da sette anni seleziona e propone i migliori lavori nelle differenti discipline e presenta alla città le tendenze artistiche emergenti.

E’ un format che, grazie alle sinergie con le gallerie d’arte e gli spazi pubblici cittadini, guida i giovani artisti nei loro primi passi in questo meraviglioso mondo dell’arte, in una nuova e importante esperienza fuori degli ambienti scolastici.

In questa occasione Isolo17 Gallery ha selezionato le opere di Xhimi Hoti; il suo interessantissimo lavoro viene inserito a pieno titolo all’interno della mostra che in questo momento si svolge in galleria dal titolo: “Il senso del costruire”. I contenuti, l’elaborazione pittorica e la ricerca artistica di questo giovane opittore, come si potrà vedere, sono perfettamente consoni con i concetti e le proposte estetiche di questa mostra.

Xhimi Hoti è nato a Shkoder, in Albania, nel 1991. Nel 2001 si è trasferito a Verona, dove frequenta il terzo anno del corso di pittura all’ Accademia delle Belle Arti di Verona.

 

Il senso del costruire- architettura e arti visive

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Può essere ancora utile, per favorire un lavoro propositivo sulle arti, discutere dei rapporti che si sono instaurati e possono ancora instaurarsi tra di esse, in particolare sui legami dell’architettura con la scultura, la pittura e la fotografia? Legami che si sono stabiliti come partecipazione fisica e decorativa delle varie arti a un programma spaziale unitario presieduto dall’architettura (dalla casa antica classica alla sua rivisitazione rinascimentale, fino alla casa borghese) ma soprattutto considerando l’architettura come un procedimento costruttivo in grado di influenzare positivamente le altre operazioni artistiche. In quanto l’architettura presenta non solo paesaggi costruiti realistici (di oggetti, case e ambienti urbani e rurali) che sono la scena della nostra vita quotidiana ma fornisce anche una particolare metodologia pratica e intellettuale, un senso sintattico-tettonico del fare, in grado di indirizzare molte figurazioni delle altre arti visive. Tramite la definizione di elementi compositivi elementari, predisposti all’assemblaggio (o al corrispondente smontaggio) secondo principi connettivi e morfologie geometrizzanti molto semplici, vicini alle pratiche della vita quotidiana: sovrapporre, impilare, affiancare, incastrare, incasellare, aggettare, sbalzare, spezzare ecc. Il che potrebbe essere connesso a un atteggiamento artistico di impianto e intento autenticamente realistico ovvero rapportato al funzionamento pratico dell’agire umano. Oggi, al contrario, accade che l’architettura, specie quella dell’avanguardia più radicale, si ispiri alle visioni più o meno espressioniste, astratte e organiche, spesso del tutto a-sintattiche, perseguite dalle altre arti, ambendo anch’essa a configurare icone plastiche sintetiche, oggettoni sempre meno districabili in grammatiche normative comuni, sempre meno assimilabili alle pratiche sintattiche ordinarie, sempre meno distinguibili in atti compositivi ed elementi costitutivi semplici, sempre meno comprensibili analiticamente dai più, sempre più tesi a offrire unicamente seduzioni sensuali immediate e passive al fruitore, razionalmente indistricabili.

Può essere utile dunque al progresso sinergico di queste arti interrogarsi di nuovo sulle loro relazioni possibili secondo questa linea metodologica? Ovvero cercare di riconsiderare un rinnovato rapporto della pittura, della scultura e della fotografia con l’architettura non solo nelle sue figurazioni realistiche dello spazio, nei suoi paesaggi caratteristici, ma riconsiderando il suo senso costruttivo, lo spirito sintattico caratteristico dell’edificare? Il quale non esclude affatto la possibilità di espletarsi anche in senso onirico, organico, fantastico o altro, e di esprimere dunque il mistero o il sogno di mondi astratti o di fantasia ma di farlo pezzo per pezzo.

Questa mostra, che presenta opere di Sylvain Corentin, Raffaella Formenti, Joe Oppedisano, Ramon Ramirez, Eduardo Romo e Luis Israel Gonzàles Sosa, selezionata e predisposta da Giovanni Monzon, in qualità di responsabile di Isolo17 Gallery, cerca di porre questo genere di questioni, senza alcuna pretesa di risposte esaustive in tal senso, favorendo un incontro, metodologico oltre che tematico, fra autori che possono essere accomunati da questo interesse per le diverse modalità e problematiche della tettonica costruttiva. Sul fondo, irrinunciabile, resta la domanda cruciale: che rapporto ha il momento poetico con le pratiche didascalicamente meccaniche del costruire di tutti? Ogni autore offre la propria risposta.

A cura di:

Giovanni Iacometti

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Luis Israel Gonzàles Sosa, cubano, impila elementi architettonici tradizionali (case, tralicci ecc.) e li inserisce in vari dispositivi – altalene, corde tese, ruote, carrucole, giostre ecc. – che li rendono surrealisticamente inabitabili e assurdi (non nel senso dei rompicapi spaziali enigmatici di Escher), se non altro per i fuori scala reciproci delle parti; in tal modo si passa con immediatezza dall’ordinario all’onirico, a un paese circense dei balocchi, dove i principi costruttivi si ribaltano e un equilibrismo di natura giocosa può sospendere il pesante sul leggero, oppure sbalzarlo nel vuoto, ingigantire il piccolo e rimpicciolire il grande.

Ramon Ramirez, cubano, innalza anch’egli costruzioni nello spazio, spesso evocando una sintassi antropomorfica ovvero assimilando le costruzioni a marchingegni organici, a corpi giganteschi di cui cerca di svelare-sviluppare il funzionamento interiore, attraverso sezionamenti per non dire vivisezioni o sventramenti; come se la struttura interiore dovesse e potesse rivelare un segreto energetico nascosto, una vitalità ecologica, forse intenzionalmente salvifico, forse fatalmente catastrofico.

Eduardo Romo, messicano, elabora frammenti che sembrano pezzi reali estratti da un cantiere edile, piastre di plastica e ferri da armatura, connessi tra loro secondo i principi connettivi tradizionali, e li espone come fatti scultorei che divengono nelle loro riprese pittoriche costruzioni inconcluse, tese all’arrembaggio dello spazio, quasi fossero virgulti vegetali in crescita.

Raffaella Formenti, bresciana, produce marchingegni scultorei compositivi utilizzando elementi cartacei nobili (soprattutto di manifesti pubblicitari) composti in unità elementari che nel connettersi, nell’abbracciare elasticamente lo spazio reale disponibile, cercando di radicarsi in esso e cercando di farlo proprio con la propria molteplicità coloristica, evocano uno spazio virtuale della comunicazione digitale. “origami di semiotica e semantica”, con la fisionomia di “un pixel, uno spam, un wiki, un wifi, un file..” come suggerisce Giovanni Monzon nella presentazione del suo lavoro per la Sezione King Kong, ArtVerona 2014.

Joe Oppedisano, italoamericano, fotografo noto per i suoi ritratti realistici, nelle opere qui esposte, che fanno parte di un suo lavoro di ricerca più libero dal dato reale, si avventura nella disgregazione ricompositiva, resa possibile dal mezzo digitale ma evocatrice del taglio di forbice, ovvero suddividendo in ritagli geometrizzati le sue fotografie di fatti reali per riconnetterli in figure astratte di natura caleidoscopica; dove però i riferimenti palesi a cose e luoghi, mentre si disperdono, si frammentano, si rispecchiano ancora in se stessi, evocando nuovi paesaggi analoghi e nuovi pensieri sull’irrealtà del loro reale.

Sylvain Corentin, francese, esponente dell’outsider art, eleva impianti scultorei verticaleggianti (“anarchitetture”), costruiti con il recupero di legnetti legati, impastati tra di loro, vere e proprie torri sospese su palafitte, dall’aria quasi abitabile; torri che rievocano costruzioni arcaiche oppure suggeriscono paesaggi ecologici futuribili, e che ambiscono a emulare i pinnacoli e le guglie delle cattedrali gotiche nella loro condizione di ammassi plastici dalla vocazione naturalistica e potrebbero anche donare il sogno fantastico degli impasti che i bambini fanno con la sabbia bagnata sulla spiaggia.

Xhimi Hoti, nei lavori qui considerati, in acrilico e penna su tela, Hoti  indaga il rapporto tra geometria discreta e continuum organico: volumetrie di parallelepipedi accostati o incastrati tra loro, resi trasparenti, integri e statici o scomposti in piani dinamici, chiusi o aperti, più o meno fluttuanti in magmi naturalistici, oppure proliferazioni geometriche che strutturano tutto il quadro nel loro ripetersi come variazioni su di un tema base. Si è fatto riferimento per la sua opera al Futurismo dinamico e a Sant’Elia ma si potrebbe anche citare il Klee di “città italiana”, legami che vanno comunque intesi come avvii di una sperimentazione, non come puri rimandi formali.


 

Giovanni Monzon
Isolo17 Gallery
Via XX Settembre 31/b
37129 Verona
cel. 349 3746379
www.isolo17.com