Single Blog Title

Live in the house and it will not fall down

di Chiaralice Rizzi e Alessandro Laita

Inaugurazione Sabato 17 febbraio, ore 18.

Via XX Settembre 31b, Verona

A cura di Nicola Turrini

Il recto e il verso

Ricordo che, diversi anni fa, il giorno che conobbi Chiaralice Rizzi e Alessandro Laita a Venezia, Chiaralice mi mostrò alcune immagini di A perfect commotion, un lavoro che aveva da poco terminato. In quelle fotoincisioni in bianco e nero Chiaralice aveva sovrapposto alcune sue fotografie con delle fotografie fatte molti anni prima dal padre, Bruno Rizzi. Attraverso un contrappunto delicato e silenzioso l’artista dispiegava una sorta di «dialogo ad una voce» tra le proprie immagini e quelle del padre, a quel tempo da poco scomparso. Cinque immagini – racconta l’artista – che «ricalcavano però incredibilmente altrettante mie fotografie, nonostante mostrassero un paesaggio in cui io non ero stata e di cui non conoscevo il nome, […] senza anelli di congiunzione, combaciavano in un legame immediato. Ferma davanti a quelle immagini, nella riflessione del fenomeno osservato, ho deciso di esaudire il loro compito».

Dopo la sua morte, nel 2004, lo studio Bruno Rizzi era rimasto chiuso per sei anni – intatto così come lo aveva lasciato – fino al momento in cui la famiglia si trovò costretta a liberarlo. Fu in quel momento che Chiaralice incontrò, insieme ad Alessandro Laita, le foto da lui realizzate: un incontro forzato dagli eventi che rese indispensabile ricreare una nuova casa attorno a tutti quegli oggetti, libri, quadri e fotografie. C’è evidentemente un forte elemento biografico in queste immagini: «Ho passato i primi anni della mia vita» prosegue Chiaralice «nello studio veneziano dove mio padre disegnava, dipingeva, lavorava il vetro, preparava incisioni. Era un posto davvero piccolo, dove ad una certa ora del mattino l’acqua del canale riusciva ad illuminare con il suo riflesso tutto il soffitto; così, in mezzo a strumenti e colori, giocavo con mia madre e mia sorella disegnando moltissimo, copiando le immagini dalle pile di libri, per lo più d’arte, che avevamo. Non so come sarebbero andate le cose se avessi avuto un’altra madre e un altro padre o solo una casa più grande, ma sono state queste circostanze a stimolare la mia sensibilità, senza soluzione di continuità fino ad ora». Un’immagine dell’infanzia impressa nel corpo e nella memoria in modo involontario, ma pervasa da un’architettura precisa e puntuale, come quel riflesso dell’acqua del canale che può illuminare completamente il soffitto solo ad «una certa ora del mattino». La precisione con cui un istante ci coglie è indipendente da noi, anche se senza di noi non potrebbe accadere: è il luogo dove si misura la nostra perdita di controllo, quello che Herman Melville chiamava “l’inafferrabile fantasma della vita”, “la chiave di tutto”.

Dal 2010 i due artisti cominciano a lavorare a quello che sei anni più tardi diventerà un libro: Live in the house and it will not fall down, una collezione di immagini – tutte rinvenute nello studio di Bruno Rizzi – che i due artisti hanno selezionato e montato secondo un ritmo ondulatorio e rigoroso. Non c’è molto da dire su questo lavoro, perché a suo modo, è indiscutibile; indiscutibile forse come ogni vera opera d’arte in cui la costellazione dischiusa dalle immagini, insieme reale e fantasmatica, si regge da sé, non cade, come la casa a cui il titolo fa riferimento. Scoprire la geologia di immagini nello studio di Bruno Rizzi ha portato alla superficie prima di tutto un’esigenza, la necessità di lavorare con dei materiali che divengono parte del lavoro in quanto biografemi: “è una storia, la mia”, ricorda ancora Chiaralice. Davanti a questo enorme archivio – pile di carte sedimentate negli anni, strati di polvere adagiati delicatamente sulle cose – non si tratta di rendere conto dei ricordi personali o di trattenere il tempo con le sue tracce ma piuttosto di fare i conti con qualcosa che richiama l’attenzione, che incide lo sguardo mostrando le proprie capacità di sviluppo. Live in the house and it will not fall down è tuttavia un lavoro a sei mani, dove i due artisti dispiegano un punto di intensificazione, un terreno impersonale, in cui il “dialogo ad una voce” tra Chiaralice e il padre viene a sovrapporsi alla voce di Alessandro.

L’artista americano Lewis Baltz, in un testo dedicato ad Alessandro Laita (Note su Alessandro Laita) si sofferma su un lavoro dell’artista che assume, in questo contesto, un’importanza fondamentale: Sono arrivato qui (12-13 settembre 2008), “un’opera che mi è rimasta impressa nella memoria sin dalla prima volta che ne sono venuto a conoscenza”. Per realizzare quest’opera, Alessandro si era recato con una lampada e una batteria per automobili in una zona boschiva nelle montagne del Cadore; lì aveva illuminato una porzione di bosco per dieci ore ed era rimasto a osservarla. L’artista, commentando la natura di pura constatazione del proprio lavoro, ha ripreso le parole di Chris Marker – “tutto ciò che vi posso offrire sono io stesso” – a cui ha aggiunto una puntuale considerazione sulla luce e la tenebra: la luce che si manifesta nelle tenebre, è “rivelazione di sé”, avviene nonostante le tenebre poiché “esse non possono soffocarne la manifestazione, non hanno alcun potere sul suo principio né possono annientarla”. Il bosco di notte “è un luogo fantastico popolato da creature immaginarie”: portare una luce nel bosco significa dissolvere le tenebre, “come gli esploratori di Jules Verne alla ricerca dell’invisibile”. Un’opera effimera – “azione/bosco/notte/luce elettrica” sono le specifiche tecniche del lavoro – che non possiede una reale presenza fisica né un luogo specifico. Il suo essere lì coincide con l’integrale messa in gioco dell’artista: l’unica testimonianza dell’esistenza dell’opera è data dalla sua parola, dalla fedeltà a chi, una notte di fine estate, ha posato il proprio sguardo sul bosco. Una veduta che per noi non è mai davvero esistita e che, se l’artista avesse mentito, addirittura non avrebbe mai avuto luogo: tuttavia il punto di luce che Alessandro ha acceso, i fantasmi che esso ha generato, sono ormai irrimediabilmente fissati in noi. È uno squarcio luminoso che, come una memoria dal futuro, rappresenta tuttavia il potenziale nascosto di questo presente, dove pure non si realizza. Sono arrivato qui (12-13 settembre 2008) si avvolge attorno ad un istante silenzioso, ad una pura constatazione che porta sempre con sé il suo fantasma: come A perfect commotion anch’esso esaudisce una promessa.

Live in the house and it will not fall down funge allora da punto di ricapitolazione del lavoro dei due artisti. Il montaggio delle immagini appartenute a Bruno Rizzi, lontano da qualsiasi estetica dell’objet trouvé, non intende salvare le immagini dall’oblio e dalla dispersione, o affidare loro il peso consolatorio della memoria. L’operazione dei due artisti veneziani ricama piuttosto i motivi sotterranei delle rispettive poetiche, sovverte il tempo stesso, lo fa uscire dai propri cardini, esibisce un anacronismo fondamentale che è possibile rintraccaire tanto nelle cinque fotoincisioni di A perfect commotion quanto in Sono arrivato qui (12-13 settembre 2008). Il loro comune punto di intensificazione converge nell’emersione precisa di un tempo che non siamo noi a scandire ma che piuttosto ci scandisce, Un incontro segnato da un’indifferenza imprevedibile e meravigliosa dove, se viene restituito un tracciato autobiografico, è perché viene assolta una segreta esigenza del tempo viene assolta.

La mostra Live in the house and it will not fall down ripete letteralmente il titolo del libro ma propone un’operazione affatto differente. Si tratta di una formula retrospettiva, anche se in senso del tutto singolare perché ancorata all’esigenza dei due artisti di ripercorrere il movimento che aveva portato alla realizzazione del libro, non tanto per chiarirne il senso quanto piuttosto per aprirlo a nuovi tracciati: un percorso archeologico che allo stesso tempo proietta lo sguardo dello spettatore verso un futuro ancora incerto la cui testimonianza non potrà che essere affidata alle immagini stesse. Materiali direttamente provenienti dal libro, disegni, testi e fotografie andranno a comporre un nuovo montaggio visivo, nel tentativo di ricostruire, e insieme portare avanti, il retroterra immaginario e che aveva condotto alla realizzazione del libro stesso. Montaggio sul cui sfondo compare Venezia, città legata indissolubilmente al percorso biografico di Chiaralice e Alessandro, e che ritorna in alcune delle immagini esposte come punto di cristallizzazione del loro lavoro, il dischiudersi di un incontro che ancora attende il suo avvenire.

Live in the house and it will not fall down è un lavoro sul tempo e sullo sguardo, su ciò che rende l’immagine, nella sua singolarità, del tutto incomparabile: se l’immagine è in qualche modo ancorata al ricordo è proprio perché questo non è la pura conseguenza di una percezione passata, quanto piuttosto il ritorno di un momento che non si è mai adattato alla propria transitorietà. Chiaralice Rizzi e Alessandro Laita si dispongono allora come il recto e il verso che trovano la loro necessaria superficie di congiunzione nelle immagini di Bruno Rizzi: il riflesso che illumina il soffitto è il contrappunto del punto luminoso nel bosco: l’istante puntiforme e il tempo dilatato esigono entrambi la propria precisione.

Go to video artist

Go to video curator

 

La mostra sarà visitabile fino al 31 Marzo.


Giovanni Monzon
Isolo17 Gallery
Via XX Settembre 31/b
37129 Verona
cel. 349 3746379
www.isolo17.gallery