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Il Giorno e la Notte

 

Opere di Diego Salezze

Diego Salezze è nato a Verona il 23 luglio 1973 da una famiglia dove l’arte era di casa. Il nonno paterno, Mirko Salezze, era un pittore paesaggista. La madre di Diego, Isabella Recchia, una pittrice autodidatta e il padre, Paolo, un grande creativo, soprattutto in ambito architettonico. Da giovane aveva realizzato delle grandissime carte geografiche disegnate a mano con minuzia di particolari che nel 2008 sono state esposte ad ARTFARM assieme alle macchie di figlio e ai pianeti sonori di Benedetta Giusti. Lo stesso Diego ha iniziato a disegnare fin da bambino. Allora realizzava soprattutto delle composizioni geometriche: cerchi, quadrati e triangoli, spesso corredati da scritture. Presenti nell’infanzia erano anche degli omini stilizzati che talvolta l’artista ripropone ancora oggi nei suoi disegni. Fin dalle elementari ha frequentato dei centri dove erano operativi laboratori di terapia occupazionale, di arte-terapia e in seguito anche atelier di libera espressione. Da piccolo ha lavorato soprattutto con il terapista occupazionale Gianfrancesco Minetto. Allora realizzava dei pinocchi in creta e inventava anche delle vere e proprie storie che venivano rappresentate. Per un certo periodo era solito ripetere il motivo di una mano, divenuto in seguito il logo di un biglietto da visita: una mano che ricorda la colomba di Picasso. Il tema della reiterazione di uno stesso soggetto è presente quindi fin dall’inizio della sua attività artistica. Prima le tre figure geometriche, poi i pinocchi, poi la mano. In seguito, divenuto più grande, ha iniziato a dipingere le “macchie” con Donatella Levi. Un lavoro durato abbastanza a lungo, con una notevole produzione di fogli che, data la sottigliezza della carta e l’insistenza pittorica dell’artista nello stesso punto del foglio, spesso risultano bucati, lacerati e talvolta raggrinziti, con un risultato visivo davvero molto forte. Questi fogli, non valutati all’inizio per il loro valore artistico, sono rimasti a lungo custoditi dentro a delle cartelle come materiale documentativo. Non erano mai stati esposti (e giustamente) perché considerati dentro a un percorso di cura e non finalizzati a un risultato artistico. In seguito Diego ha lavorato anche con l’artista Luigi Scapini, che ha una lunghissima esperienza di conduttore in atelier protetti. E’ stato durante un laboratorio da lui condotto sulla realizzazione di un mazzo di tarocchi che ho incontrato per la prima volta Diego Salezze. Era il 2004. Anno in cui iniziò una collaborazione fra il Centro Franca Martini di Trento, da me rappresentato, e l’Accademia di belle arti di Verona, per far nascere un Osservatorio di Outsider Art in grado – oltre che di fare ricerca in questo ambito – di monitorare i lavori che escono dai luoghi di cura. La prima collaborazione è consistita proprio nell’allestire una mostra dei tarocchi realizzati nel laboratorio di Scapini in una sala espositiva del Comune di Verona, in collaborazione con gli studenti dell’Accademia e di scrivere in seguito un testo critico per la pubblicazione del mazzo di carte edito da Dal Negro. In questo laboratorio, Diego Salezze ha dipinto soprattutto dei soggetti figurativi, molto stilizzati e di una certa forza, che si avvicinavano alle produzioni geometriche giovanili. Aveva però dipinto anche un arcano maggiore, il bagatto, accostando due macchie rosso/arancioni e un più sottile pennacchio nero, assai diverso dal resto della sua produzione di allora. Quest’opera mi aveva colpito moltissimo e mi aveva incuriosita su tutto ciò che Diego aveva potuto aver prodotto precedentemente a questo periodo figurativo. Fu in questa occasione che la dirigente del centro, la dott.ssa Graziella Morandini, mi accompagnò nel loro deposito a vedere le macchie di Diego che vi erano custodite. Fui molto colpita da questi lavori, dalla serialità e dall’insistenza utilizzata nel trattare sempre lo stesso soggetto con infinite varianti. La reiterazione dello stesso tema, come sappiamo, oltre a essere un esercizio di stile che molti artisti ricercano, è pure un tema ben noto al mondo dell’arte moderna e contemporanea, basti pensare ai multipli di Andy Warhol.

Decisi perciò di iniziare a lavorare con Diego, lasciandolo però completamente libero di esprimersi, abbandonando completamente l’idea di conduzione, invitandolo anche in Accademia con gli studenti – dove poteva stare in un ambiente favorevole alla produzione artistica – per vedere come avrebbe deciso di esprimersi. E fu in questo contesto che, lasciato completamente libero, tornò spontaneamente a dipingere le macchie. Nel 2005, all’interno della collaborazione fra Accademia e diversi centri diurni di Verona, venni incaricata di curare una collettiva mista (studenti e artisti da me selezionati nei diversi atelier dei luoghi di cura) e fu in questa occasione che per la prima volta vennero esposte al pubblico le macchie di Diego Salezze. La mostra si tenne alla Gran Guardia in piazza Bra. Le macchie riscontrarono un notevole successo, tanto da essere richieste per l’acquisto da diverse persone, per lo più competenti d’arte. Lo stesso anno, con la prima edizione della fiera veronese “ArtVerona”, fui incaricata di curare  la sezione speciale dedicata all’ Outsider Art e le macchie di Diego Salezze vennero ufficialmente proposte anche nel mercato dell’arte contemporanea. Seguirono poi diverse mostre, molte, fin dall’inizio, miste, dove a esporre non erano solo gli artisti irregolari ma anche quelli del mainstream. Anzi, nel caso di Diego, le collaborazioni con gli artisti insider furono molte. Una in modo particolare diede esiti davvero speciali, quella con il fotografo Marco Ambrosi, culminata con una personale a Pergine Spettacolo Aperto nel 2008. Due lavori di questa serie sono presenti anche in questa mostra. L’elenco delle esposizioni, da allora, si è allungato di molto, sia in manifestazioni insider che outsider. Diego Salezze dipinge soprattutto ad acrilico su carta. Diversi lavori sono stati realizzati a tempera e ultimamente utilizza anche degli smalti. Predilige di gran lunga i formati grandi. Possiamo senz’altro definirlo un artista gestuale, infatti se lo si osserva mentre lavora è possibile notare l’insistenza con la quale stende il colore, a lungo, sempre nello stesso campo visivo fino, talvolta, a lacerare la carta, un effetto ottenuto anche per la povertà del supporto. Nonostante la presenza di diversi monocromi, più di rado la campitura si stende a creare una sola macchia, più spesso i colori sono due o tre. Ogni colore una macchia. Possono essere delle macchie una accanto all’altra, una sopra l’altra, una incuneata nell’altra. I colori li decide sempre al momento e anche la composizione del dipinto. Spesso la stessa cromia si protrae per più giorni. Lavora sia in piedi che seduto e sempre in totale autonomia.

Per Salezze, “le macchie”, come anche lui stesso le chiama, sono arte necessaria. Le ritiene senz’altro una sua cifra espressiva irrinunciabile e anche il medium più efficace per poter stabilire delle relazioni con gli altri. E’ un artista che, ancora una volta, ci pone davanti a un interrogativo che non si riesce a risolvere: dove sta il confine fra l’arte outsider e l’arte insider? Diversi critici e storici dell’arte, non a caso, si sono espressi sul lavoro di Salezze paragonandolo alla produzione della cosiddetta field painting statunitense che ha avuto negli anni Cinquanta in Robert Motherwell e in Mark Rothko i suoi maggiori esponenti.

Curatore:

Daniela Rosi

https://www.youtube.com/watch?v=xnxRAjQc9TI